una sintesi degli articoli della stampa cattolica sulla sentenza di Strasburgo….finalmente la corte europea fa chiarezza sul diritto ad esporre il crocefisso nelle scuole.

  NOTIZIA
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La sentenza era attesa per oggi ed è arrivata puntuale. La Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha assolto l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. Come si ricorderà, nel novembre del 2009 la Corte aveva accolto la richiesta di una cittadina italiana di origine finlandese, Soile Lautsi, pronunciandosi contro l’esposizione del crocefisso, sostenendo che la sua presenza nelle scuole statali fosse “contraria al diritto dei genitori di educare i propri figli secondo le loro convinzioni e al diritto dei minori alla libertà di religione e di pensiero”. La Corte aveva anche condannato l’Italia a risarcire 5.000 euro alla Lautsi per danni morali. Il governo italiano aveva presentato subito ricorso e a sostegno dell’Italia lo hanno presentato anche altri dieci Paesi, ossia Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, San Marino, Russia Monaco e Romania. Il ricorso è stato discusso a Strasburgo a fine giugno 2010 e adesso arriva il pronunciamento della Corte che accoglie il ricorso italiano. La decisione è stata adottata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici di Straburgo si sono anche “chiamati fuori” dal dibattito sul valore del crocifisso, dichiarando in proposito l’incompetenza della Corte.
(da Sir Attualità, 18 marzo 2011)
APPROFONDIMENTI
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– Una bella pagina per l’Europa

La Corte di Strasburgo ha avuto il coraggio di andare in profondità, senza condizionamenti.
Il fatto che la Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo abbia voluto fondamentalmente ribaltare una sentenza adottata in precedenza da una Camera all’unanimità, è un segno di buon senso, di saggezza e di libertà. Non si può sconvolgere superficialmente una civiltà. I giudici hanno avuto il coraggio di andare in profondità, senza condizionamenti. La sentenza contribuirà a dare fiducia nella Corte e nelle Istituzioni europee da parte di un’alta percentuale dei popoli dell’Europa.
La sentenza ha acquisito valore simbolico ben oltre il caso italiano. Basti pensare alle reazioni suscitate dalla prima sentenza a livello mondiale.
Questa sentenza è una pagina di speranza non solo per i cristiani e per i credenti, ma per tutti i cittadini europei che sono preoccupati di non corrodere la grande tradizione maturata nei secoli e quindi la propria identità. Considerare la presenza nello spazio pubblico del crocifisso – il simbolo più significativo e più popolare del cristianesimo – come contraria ai diritti dell’uomo è negare l’idea stessa di Europa. Senza il crocifisso, l’Europa non esisterebbe. Per questo la sentenza è anche una vittoria per l’Europa.
I giudici hanno riconosciuto che la cultura dei diritti dell’uomo non deve escludere la civiltà cristiana. Questa decisione rinforza i fondamenti spirituali e  morali dell’Europa, riconoscendo la loro interdipendenza. La cultura dei diritti dell’uomo ha radici nella civiltà cristiana. Non si può negare l’una senza mettere in pericolo l’altra.
Con questa decisione la Corte è quindi fedele agli statuti del Consiglio d’Europa che affermano che gli Stati europei sono “inébranlablement attachés aux valeurs spirituelles et morales qui sont le patrimoine commun de leurs peuples et qui sont à l’origine des principes de liberté individuelle, de liberté politique et de prééminence du droit, sur lesquels se fonde toute démocratie véritable”.
Questa decisione ha anche una profonda portata unificatrice tra i diversi popoli europei. Davanti ai rischio della messa in causa della propria identità, più di venti paesi hanno preso pubblicamente posizione a favore della presenza pubblica del simbolo del Cristo nello spazio pubblico europeo. La Corte ha considerato con attenzione, oltre la posizione dell’Italia, quella dei dieci governi che si sono presentati “parte terza”, “amicus curiae”, a sostegno dell’Italia: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, S. Marino, Romania e Federazione Russa e di altri 11 paesi che hanno fatto dichiarazioni pubbliche, attraverso il governo o il parlamento o un ministro, a sostegno dell’Italia: Albania, Austria, Croazia, Macedonia, Moldavia, Polonia, Serbia, Slovacchia, Ucraina, Ungheria, Norvegia. È impressionante che ben 22 paesi abbiano voluto far sentire la loro voce consensuale per una sentenza della Corte. Questa Europa esiste e va ascoltata. Questo gesto pubblico condiviso da un così gran numero di stati testimonia il fatto fondamentale che il cristianesimo è al cuore di ciò che unifica l’Europa, aldilà delle divisioni politiche e confessionali. La Corte, rispettando la presenza visibile del cristianesimo nella società, ha così contribuito a rinforzare l’unità della cultura europea. 
La Corte ha fra l’altro riconosciuto che l’Europa ha come straordinaria ricchezza una tradizione di tolleranza e di diversità. In Europa è cresciuta una gran varietà di posizioni rispetto al rapporto Chiesa-Stato, all’esposizione dei simboli religiosi, alla propria identità. Voler uniformare non è degno di ciò che l’Europa ha maturato lungo i secoli. La considerazione del principio di sussidiarietà e del margine di apprezzamento proprio dei diversi paesi è rispettare questa ricchezza.
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi davanti a un dato di fatto, cioè la presenza del crocifisso nelle scuole italiane. Un popolo ha deciso, alla luce della sua storia e dei suoi valori, la presenza del crocifisso: perché un organismo internazionale dovrebbe violare la libertà e la identità di questo popolo e costringerlo a costruire la propria casa in modo diverso?
Emerge dalla sentenza del 18 marzo un concetto positivo di rapporto Chiesa-Stato. La Corte non ha voluto  imporre a tutti i paesi un’idea di “laicità” estranea alla maggioranza dei paesi aderenti alla Convenzione dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La laicità non significa esclusione, far tabula rasa del sacro dalla sfera pubblica. Spazio pubblico non significa spazio vuoto. La storia ci  insegna che uno spazio vuoto è destinato a essere velocemente occupato da ideologie distruttive. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce che la religione non è un affare privato dell’individuo, ma ha una dimensione sociale, collettiva e pubblica (art. 9). Richiedere di togliere il crocifisso non significa neutralità e imparzialità, ma imposizione di una precisa ideologia. Non si può negare la libertà di religione nel nome della libertà di religione!
Sarebbe stato incomprensibile che un organismo europeo come la Corte, in un momento storico in cui si assiste al ritorno della religione sulla scena pubblica e delle Istituzioni europee, avesse compiuto un errore storico nel voler decidere contro l’esposizione del crocifisso che è espressione della fede religiosa, ma anche di una storia e di un’identità di un paese. Sempre più s’impone oggi la domanda circa la possibilità stessa del  sopravvivere a lungo termine di una civiltà senza una grande religione che la sostenga e le dia anima. Questo vale anche per l’Europa, il continente che può vantare una lunga storia di civiltà e di cultura.
Altrettanto assurda sarebbe risultata una sentenza preoccupata di eliminare un simbolo come il crocifisso, in un mondo chiamato ad affrontare sfide enormi. L’umanità ha urgente bisogno di un simbolo come il crocifisso, che – se autenticamente interpretato – è unico nel proporre il valore della riconciliazione, il rispetto dell’altro, la legge dell’amore fino al dono della vita; e in particolare è un segno di speranza per le tantissime persone che sono ferite dalla vita e che subiscono il potere del male e del dolore. Perché privare di una fonte di luce le persone che vivono nelle lacrime? Il simbolo della croce riflette di fatto il sentimento religioso dei cristiani di qualsiasi denominazione, ma, per il suo valore umano, dialogico, solidale e spirituale, può anche riflettere il sentire di credenti di altre religioni e non credenti.  È paradossale vedere nella presenza del crocifisso, che rappresenta una vita donata fino alla morte per l’umanità, una violazione reale di diritti dell’uomo, un indottrinamento, un proselitismo o una costrizione ad agire contro coscienza o contro il proprio credo.
Occorre essere grati a tutti i paesi e a tutte le persone che si sono impegnate con intelligenza e sensibilità per scrivere questa pagina che fa onore all’Europa, a cominciare dalla Rappresentanza d’Italia presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo con il suo ambasciatore Sergio Busetto e il co-agente, Nicola Lettieri.
(Mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa – Sir Attualità, 18 marzo 2011)

– L’Italia assolta a Strasburgo

“Se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni”. È questa la conclusione cui è giunta oggi la Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza sul caso Lautsi-Italia riguardante l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. “Nella sentenza definitiva di Grande Camera, pronunciata oggi nel caso Lautsi e altri contro Italia – si legge in una nota ufficiale -, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro due)” per la “non violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso, ricorda la stessa Corte “riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche”.
La sentenza era attesa per oggi ed è arrivata puntuale. La Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha assolto l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. Come si ricorderà, nel novembre del 2009 la Corte aveva accolto la richiesta di una cittadina italiana di origine finlandese, Soile Lautsi, pronunciandosi contro l’esposizione del crocefisso, sostenendo che la sua presenza nelle scuole statali fosse “contraria al diritto dei genitori di educare i propri figli secondo le loro convinzioni e al diritto dei minori alla libertà di religione e di pensiero”. La Corte aveva anche condannato l’Italia a risarcire 5.000 euro alla Lautsi per danni morali. Il governo italiano aveva presentato subito ricorso e a sostegno dell’Italia lo hanno presentato anche altri dieci Paesi, ossia Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, San Marino, Russia Monaco e Romania. Il ricorso è stato discusso a Strasburgo a fine giugno 2010 e adesso arriva il pronunciamento della Corte che accoglie il ricorso italiano. La decisione è stata adottata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici di Straburgo si sono anche “chiamati fuori” dal dibattito sul valore del crocifisso, dichiarando in proposito l’incompetenza della Corte
La Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, correggendo la precedente sentenza del novembre 2009, afferma: “Pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare une violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1”. Tale sentenza, che è definitiva verrà ora trasmessa – come spiegano i 17 giudici, presieduti dal francese Jean-Paul Costa -, al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, massimo organismo politico dell’istituzione, “che ne controlla l’esecuzione”.
(da Sir Attualità, 18 marzo 2011)

– Quella silenziosa presenza

È stata forse solo l’astuzia del calendario, ma le alte e impegnative parole del presidente Napolitano nell’importante discorso sui 150 anni di Unità a proposito dei rapporti Stato-Chiesa e della presenza dei cattolici in Italia, non potevano trovare migliore eco nel pronunciamento della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. Con una sentenza articolata ed equilibrata, resa nota oggi, ha modificato la decisione di prima istanza ed assolto lo Stato italiano a proposito della questione dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche.
Con una decisione a larghissima maggioranza (quindici voti contro due) ha riconosciuto che la “percezione soggettiva” dei ricorrenti non può configurare una oggettiva violazione dell’”obbligo dello Stato di rispettare il diritto dei genitori ad assicurare l’educazione a l’insegnamento dei loro figli conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche”. Ha constatato, con saggio self-restraint, che non appartiene alla Corte europea entrare nel dibattito interno agli Stati in ordine alle diverse competenze degli organi giurisdizionali interni. Infine ha affermato che la Corte deve “rispettare lo scelte degli Stati nei delicati campi”, dell’educazione e della religione, limitandosi “ad assicurarsi che queste scelte non comportino una forma di indottrinamento”. Che peraltro il caso in specie non può configurare, essendo assolutamente garantito il diritto dei genitori nella specifica situazione italiana.
Si tratta di una sentenza che mette ordine in un quadro, quello dei diritti e delle identità, fondamentale per gli sviluppi dell’Europa, in cui sembrava acquisita una deriva in fin dei conti nichilistica. Questa non è per nulla inevitabile, come ha dimostrato peraltro il costituirsi in questo giudizio di un’ampia e qualificata serie di Stati (tra cui il più grande tra quelli aderenti al Consiglio, la Federazione Russa) e di organizzazioni non governative.
Al di là dell’estremo esaurirsi di una idea nichilista di diritti, che finisce col creare vuoto, un vuoto ove inevitabilmente è destinata ad emergere la legge del più forte, il punto è proprio ripartire dalla persona, dalla concretezza della vita e delle situazioni, in cui sono necessari punti di riferimento.
Il crocifisso, con la sua silenziosa, discreta, ma sincera presenza negli spazi pubblici oggi esprime proprio quella “sana laicità” di cui c’è in Europa grande bisogno, per far crescere, e fruttificare, la democrazia. I consensi, larghi, trasversali e per diversi aspetti imprevisti, che Benedetto XVI, ha ricevuto sviluppando questo tema, da ultimo nel grande e impegnativo discorso nella Westmister Hall, dimostrano che può essere una strada importante da condividere, senza barriere.
(Sir – Sir Attualità, 18 marzo 2011)

– Coraggio e saggezza

La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha messo un punto importante alla vicenda del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane. Lo ha fatto tornando su una decisione presa nel 2009, quando accoglieva il ricorso di una cittadina italiana di origini finlandesi, Soile Lautsi e riconosceva come la presenza del crocifisso nelle scuole statali fosse ”contraria al diritto dei genitori di educare i propri figli secondo le loro convinzioni e al diritto dei minori alla libertà di religione e di pensiero”.
La sentenza era stata impugnata dall’Italia e il ricorso del nostro Paese era stato sostenuto anche da un vasto schieramento di ricorrenti. Accolto il ricorso, la questione è stata discussa a Strasburgo il 30 giugno 2010 e adesso è arrivato il pronunciamento dei giudici europei: l’esposizione del crocefisso non configura alcuna violazione dei diritti umani da parte dell’Italia. Il pronunciamento della Corte è particolarmente importante. Non solo perché chiarisce una volta di più che un crocefisso alle pareti delle aule scolastiche non è imposizione alle coscienze – in Italia il dibattito sul valore del simbolo cristiano dura da tempo e ha molte sfumature – e che la laicità – si potrebbe aggiungere – non è l’assenza, il vuoto di simboli e identità. C’è infatti tutto un altro filone relativo alla sentenza della Corte e che riguarda il tema della sussidiarietà da rispettare nei rapporti tra Stati e Istituzioni europee, la necessità di valorizzare livelli diversi, sensibilità e atteggiamenti differenti propri di molte realtà nazionali.
Anche su questo piano si muove la Corte che in più di un passaggio del pronunciamento si riferisce ai margini di valutazione propri di uno Stato ad esempio a proposito della necessità o meno di valorizzare tradizioni proprie, restando peraltro nell’ambito del rispetto dei diritti e delle libertà tutelato dalla Convenzione sui diritti dell’uomo.
In questa direzione si ritrovano quegli elementi di “coraggio e saggezza” che, ad esempio, sono stati rilevati subito nella sentenza dall’Osservatore permanente della Santa Sede al Consiglio d’Europa, monsignor Aldo Giordano. Coraggio e saggezza per superare luoghi comuni su una laicità malintesa e, soprattutto, per ridare respiro a una seria considerazione delle tradizioni, delle identità e dei valori dei diversi popoli europei. Tradizioni, identità e valori che non si possono azzerare e che dovrebbero poter essere considerati non una minaccia, ma una risorsa per l’Europa “plurale” che già esiste e che vorremmo sempre più improntata al dialogo e al rispetto tra persone e popoli.
(Alberto Campoleoni – Sir Attualità, 18 marzo 2011)

– Perché può rimanere

“Se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni”. È questa la conclusione cui è giunta il 18 marzo la Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza sul caso Lautsi-Italia riguardante l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Il simbolo della fede cristiana può dunque rimanere nelle aule scolastiche senza temere per la libertà di educazione e il diritto all’istruzione dei ragazzi e dei giovani, così come garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
“Nella sentenza definitiva della Grande Chambre, pronunciata nel caso Lautsi e altri contro Italia – si legge in una nota ufficiale -, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro due)” per la “non violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Il caso, ricorda la stessa Corte, “riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche”. La Grande Chambre, correggendo la precedente sentenza del novembre 2009 di una delle Camere della Corte, afferma: “Pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare une violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1”. Tale sentenza, che è definitiva, è stata subito trasmessa – come hanno spiegato i 17 giudici, presieduti dal francese Jean-Paul Costa -, al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, massimo organismo politico dell’istituzione, per controllarne l’esecuzione.
Analizzando la sentenza emersa dalla Grande Chambre della Corte di Strasburgo, emergono anche argomenti che probabilmente solleveranno dibattito a livello culturale, politico e giurisprudenziale sia in Italia che in Europa. La Corte infatti afferma: “Il Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi che, oltre ad avere un significato religioso, il crocifisso simboleggia i principi e i valori che fondano la democrazia e la civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule scolastiche”. Dalla Corte giungono a tale riguardo due riflessioni: “Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che, se da una parte la decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal margine di discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà consacrati dalla Convenzione e dai suoi Protocolli”. In relazione al secondo punto, “rilevando che il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione” italiani “hanno delle posizioni divergenti sul significato del crocifisso e che la Corte costituzionale non si è pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne”.
La sentenza sul crocifisso emessa dalla Grande Camera della Corte dei diritti dell’uomo constata che “nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato”. La Corte sottolinea ancora che “un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose”. Inoltre per i giudici “gli effetti della grande visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati” in quanto: “tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo; secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole…); non sussistono elementi tali da indicare che le autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni”.
(Gianni Borsa – Sir Attualità, 18 marzo 2011)

– Una questione storica e civile

Se la prendono con la croce. Se la son presa. Se la prenderanno.
Perché a un certo punto è così: non ce l’hanno nemmeno più con i cristiani, con i peccati, gli scandali, l’orrore che anche noi, io, possiamo fare. Con i nostri peccati. Le nostre tiepidezze. Le nostre fughe. Tutte quelle cose per cui giustamente ce l’hanno con noi e, se posso dirlo, a volte comprensibilmente ce l’hanno con la Chiesa, con la madre. A un certo punto, ed è questo il punto, è arrivata l’epoca, provano fastidio per lui.
Direttamente per Lui. Per il suo corpo esposto. Il suo corpo che è del Padre nostro che sei nei cieli. E che però è proprio carne, corpo, storia… Non lo vogliono vedere. Lo vogliono cancellare dallo spazio. Al limite si può tenere in privato, come un vizio, una vergogna, una mania.
Provano rigetto. Provano nausea per Lui. Uno strano, antico e futuro livore per questo Dio che ha osato incarnarsi, farsi lacrima e grido, sorriso e sera a cena, in una parola semplice e scandalosa: amico. E ora come allora se la prendono con lui.
Non più solo per noi, per i nostri difetti. E si addossa al crocifisso ogni genere di contumelia. Di irrisione. Lo fecero gli scribi, lo fanno i nuovi scribi. Con puntualità svizzera, a pochi giorni dalla sentenza europea sulla querelle del diritto dell’Italia di esporre il crocifisso in luoghi pubblici, arriva un pamphlet Einaudi firmato da Sergio Luzzatto, Il crocifisso di Stato.
Dove oltre a prendersela con tutti quelli – ebrei, ex comunisti, laici, non credenti – che non la pensano come lui, Luzzatto arriva a proporre il nascondimento di questo segno, la croce, che divide e scandalizza (è vero) con uno che a sentir lui unisce e lascia tranquilli: l’elica del Dna (idea non sua, aggiunge l’autore). Libro religioso, dunque, questo di Luzzatto l’antireligioso (che non accetta il crocifisso esposto in Italia ma accetta di vivere in un Paese, la Svizzera, dove la croce è sulla bandiera…). Libro che facendo della religione una specie di ‘scienza’ (ma non so quanti scienziati siano d’accordo) ne alza un simbolo. Un idolo. Che a ben vedere è lontano da indicare qualcosa che unisce: provate a dire al mio amico F. malato dalla nascita per malattia genetica che quel che mi rende uguale a lui è il Dna… In ogni caso, Luzzatto, nella verve polemica che affastella troppe cose e storie e nomi non sempre perde lucidità: ad esempio deve ammettere che J. Weiler (l’insigne giurista ebreo che ha difeso il crocifisso davanti alla Corte europea) ha ragione. Il muro bianco non è rispetto della libertà, ma negazione della storia e della civiltà. E proponendo dunque il suo idolo – lo Scientismo – Luzzatto fa piazza pulita di una finta laicità che nell’azzeramento dei segni e delle culture vede un bel punto d’arrivo. Idea finta di laicità che viene (spesso ipocritamente) sbandierata. Questo libro dice chiaro che lui non crede che la nostra storia umana sia simboleggiabile da un crocifisso. Per lui si tratta di una questione di fede: sostituire un simbolo con un altro. Per noi cristiani non è una questione di fede.
Non dipende certo dai crocifissi esposti in un’aula scolastica la mia poca o molta fede. So dove pregare o bestemmiarlo, non lì.
È invece una questione storica e civile: la nostra storia millenaria di cultura, civiltà e arte è espressa meglio dal crocifisso – dalla pietà, dalla considerazione del dolore, dalla gloria dei morti ingiustamente, da un evento storico che ha rivoluzionato il mondo e ha coperto l’Italia di monumenti e arte – o dal simbolo che rappresenta una delle tante importanti scoperte scientifiche?
(Davide Rondoni – Avvenire, 11 marzo 2011)

– Buon senso e libertà

“Esprimo soddisfazione per la sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo emessa a seguito del riesame della sentenza del 3 novembre 2009 nell’affare Lautsi contro Italia circa l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia per la quale il Governo italiano aveva presentato ricorso il 29 gennaio 2010. L’odierna sentenza della Grande Camera, che ha ribaltato il verdetto della sentenza adottata in precedenza, è un segno di buon senso, di saggezza e di libertà”. Ad affermarlo è il card. Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). “Il carattere definitivo di questa sentenza – prosegue il porporato – acquista un valore simbolico che va ben oltre il caso italiano come avevano testimoniate le numerose reazioni alla prima sentenza suscitate a livello europeo e mondiale”. Oggi, secondo il presidente del Ccee, “è stata scritta una pagina di storia. Si è aperta una speranza non solo per i cristiani, ma per tutti i cittadini europei, credenti e laici, che si erano sentiti profondamente lesi dalla sentenza del 3 novembre 2009 e che sono preoccupati di fronte a procedimenti che tendono a sgretolare una grande cultura come quella cristiana e a minare in definitiva la propria identità”.
“Considerare la presenza del crocifisso nello spazio pubblico come contraria ai diritti dell’uomo sarebbe stato negare l’idea stessa di Europa”, evidenzia il card. Erdő, che è anche arcivescovo di Esztergom-Budapest. “Senza il crocifisso l’Europa che oggi conosciamo non esisterebbe – chiarisce il porporato -. Per questo motivo la sentenza è prima di tutto una vittoria per l’Europa”. “Sono in accordo con la Grande Camera quando lascia intendere che le questioni religiose – afferma il presidente del Ccee – debbano essere affrontate a livello nazionale da ogni Stato membro. Sono convinto che l’odierna sentenza contribuirà a dare fiducia nella Corte e nelle Istituzioni europee da parte di molti cittadini europei”. “Con essa – conclude il card. Erdő -, i giudici hanno riconosciuto che la cultura dei diritti dell’uomo non deve per forza escludere la civiltà cristiana”.
(da Sir Attualità, 18 marzo 2011)

DOCUMENTI
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– Soddisfazione da parte della Santa Sede

Pubblichiamo il testo integrale della dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, p. Federico Lombardi, sulla sentenza odierna della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

“La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sull’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane è accolta con soddisfazione da parte della Santa Sede.
Si tratta infatti di una sentenza assai impegnativa e che fa storia, come dimostra il risultato a cui è pervenuta la Grande Chambre al termine di un esame approfondito della questione. La Grande Chambre ha infatti capovolto sotto tutti i profili una sentenza di primo grado, adottata all’unanimità da una Camera della Corte, che aveva suscitato non solo il ricorso dello Stato italiano convenuto, ma anche l’appoggio ad esso di numerosi altri Stati europei, in misura finora mai avvenuta, e l’adesione di non poche organizzazioni non governative, espressione di un vasto sentire delle popolazioni.
Si riconosce dunque, ad un livello giuridico autorevolissimo ed internazionale, che la cultura dei diritti dell’uomo non deve essere posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civiltà europea, a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale. Si riconosce inoltre che, secondo il principio di sussidiarietà, è doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identità nazionale e quanto al luogo della loro esposizione (come è stato del resto ribadito in questi giorni anche da sentenze di Corti supreme di alcuni Paesi europei). In caso contrario, in nome della libertà religiosa si tenderebbe paradossalmente invece a limitare o persino a negare questa libertà, finendo per escluderne dallo spazio pubblico ogni espressione. E così facendo si violerebbe la libertà stessa, oscurando le specifiche e legittime identità. La Corte dice quindi che l’esposizione del crocifisso non è indottrinamento, ma espressione dell’identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana. La nuova sentenza della Grande Chambre è benvenuta anche perché contribuisce efficacemente a ristabilire la fiducia nella Corte Europea dei diritti dell’uomo da parte di una gran parte degli europei, convinti e consapevoli del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro propria storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e di libertà”.
(da Sir Attualità, 18 marzo 2011)

– La nota della Comece

Pubblichiamo la nota della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europa) sulla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo emessa a seguito del riesame della sentenza circa l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia.

“La Comece accoglie con favore il giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul caso Lautsi vs Italia. La Grande Camera della Corte Europea ha dichiarato il 18 marzo 2011 che la presenza dei crocifissi nelle aule delle scuole statali italiane non è contrario al diritto alla educazione. Questa decisione smentisce chiaramente la precedente sentenza del 2009 della Camera della Corte Europea. La Comece vede in questa decisione un riconoscimento del legittimo posto del cristianesimo nella pubblica piazza, nonché il riconoscimento della diversità delle tradizioni culturali in Europa.
È un fatto che in tutta Europa, vi è una varietà di modelli che regolano la questione su come trattare la religione e i simboli religiosi nelle scuole pubbliche e nella vita pubblica. Questa diversità è il risultato delle diverse tradizioni, identità e storie degli Stati membri, e risente del contesto dei diversi rapporti Chiesa-Stato. La Corte riconosce giustamente che l’assenza di un consenso europeo sulla presenza di simboli religiosi nelle scuole statali deve essere preso in considerazione per valutare questo caso.
La presenza di un crocifisso nelle scuole non impedisce la trasmissione del sapere in modo obiettivo, critico e pluralistico. La presenza di questo particolare simbolo religioso mira piuttosto a trasmettere valori morali fondamentali nelle scuole pubbliche.
In considerazione del principio cattolico della sussidiarietà, la Comece condivide l’opinione della Corte secondo cui il livello più appropriato per poter ragionevolmente valutare tali questioni, che sono profondamente radicati nella tradizione di un determinato paese, è quello nazionale.
Il crocifisso simboleggia la crocifissione e la resurrezione di Gesù Cristo. I cristiani di tutte le denominazioni vedono quindi nella croce il simbolo dell’amore globale di Dio per tutta l’umanità. Per i credenti di altre religioni e anche per i non credenti, la croce può essere considerata come un simbolo di non violenza e resistenza alle ritorsioni, la sua esposizione al pubblico ricorda a tutti gli esseri umani il rispetto della dignità umana, un principio da cui sono stati derivati tutti i diritti fondamentali”.