Le parole del card. Bagnasco al Consiglio permanente della Cei
Una presenza leale e costruttiva
La Chiesa è in questo Paese una presenza costantemente leale e costruttiva, che non può essere coartata né intimidita solo perché compie il proprio dovere”. A ribadirlo è stato il 21 settembre il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che in apertura del Consiglio permanente dei vescovi italiani ha iniziato la sua prolusione (testo integrale sul sito www.agensir.it) riferendosi alla vicenda che ha portato alle dimissioni del direttore di Avvenire Dino Boffo. “È ancora vivo in noi – ha detto – un passaggio amaro che, in quanto ingiustamente diretto ad una persona impegnata a dar voce pubblica alla nostra comunità, ha finito per colpire un po’ tutti noi. La gravità dell’attacco non può non essere ancora una volta stigmatizzata, come segno di un allarmante degrado di quel buon vivere civile che tanto desideriamo e a cui tutti dobbiamo tendere”. “La coerenza tra la fede e la vita – ha ammonito il Cardinale – è tensione che attraversa e invera il cristianesimo, ed è in un certo qual senso la misura della sua sincerità: su questo davvero non possiamo accettare confusione, tanto meno se condotta con intenti strumentali o per perseguire obiettivi che nulla hanno a che fare con un rinnovamento complessivo della società”. Soffermandosi poi sui 25 anni dalla riforma del Concordato tra Stato e Chiesa, il presidente della Cei ha ribadito la “reciproca autonomia” ma anche l’“impegno condiviso di collaborazione per la promozione dell’uomo e del bene del Paese”, e ha affermato: “La Chiesa pellegrina in Italia non indietreggia, e mai rinuncerà – secondo la sua tradizione – ad un atteggiamento di apertura virtuosa collaudato negli anni, e spera che altri si affaccino o continuino ad affacciarsi nell’agorà pubblica con onestà e passione, amore disinteressato per le sorti comuni, autentica curiosità intellettuale”.
Col nichilismo “educare è impossibile”. “Se, come esige il nichilismo, anche solo parlare di princìpi è considerata una deriva liberticida ed autoritaria e si ritiene lesivo dell’intelligenza qualsiasi riferimento ad un bene oggettivo che preceda le nostre scelte, allora davvero educare diventa un’impresa impossibile”. Nella parte della prolusione dedicata all’“emergenza educativa”, che sarà al centro del prossimo piano pastorale della Cei e alla quale è dedicato il Rapporto-proposta del Comitato per il progetto culturale, il Cardinale ha lanciato una provocazione. Oggi, ha spiegato, sono “troppo pochi coloro che accettano di fare effettivamente i conti con questo tarlo inesorabile che polverizza ogni voglia di futuro”, mentre sono “ancora troppi i maestri che lusingano i giovani indicando loro un dio sbagliato”. A questo proposito, il porporato ha citato il dibattito sull’ora di religione, seguito alla recente sentenza del Tar del Lazio, che “in nome di una supposta non discriminazione”, di fatto “finisce per discriminare la maggioranza degli studenti”. Lungi dall’essere un’ora di “catechismo di Stato” l’Irc è una “disciplina scolastica” che “non richiede l’adesione di fede” ma è occasione di “dialogo interculturale”.
Guardare avanti. Un invito a “guardare avanti”, a “far tesoro dell’esperienza con una capacità di autocritica che sia in grado di superare un clima di tensione diffusa e di contrapposizione permanente che fa solo male alla società”. Tutto ciò, a partire dall’“importanza dei valori etici e morali nella politica”. A lanciarlo è stato il card. Bagnasco nella parte finale della prolusione, dedicata ad un’Italia “ciclicamente attraversata da un malessere tanto tenace quanto misterioso, che non la fa essere talora una nazione serena e del tutto pacificata al proprio interno, perché attraversata da contrapposizioni radicali e da risentimenti”. Di qui la necessità di “un supplemento di amore”, capace “di inglobare pure le ragioni diverse dalle proprie, rinunciando alla polemica pur di raggiungere un consenso sulla verità”. Per la Chiesa italiana, in altre parole, è “urgente e necessario per tutti e per ciascuno guadagnare in serenità”, perché “questo oggi il Paese domanda con più insistenza”. Il “criterio fondamentale per una onesta valutazione dell’agire politico” è dunque “il criterio della reale efficacia di ogni azione politica rispetto ai problemi concreti del Paese”. Soprattutto, “occorre che chiunque accetta di assumere un mandato politico sia consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda”.
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